And the Stars above: L’album celestiale degli Armonite – La recensione

Apro Spotify alla ricerca di “And the Stars above”, l’ultimo album degli Armonite. Un lavoro interamente strumentale, il quale si presenta armonioso, contornato spesso da una voce limpida, spirituale. A tratti angelica. Infatti ascoltando la prima traccia, “The March of the Stars”, sembra quasi di essere in un ambiente paradisiaco, pieno di nuvole bianche e ragazzi/e dai grossi boccoli biondi che pizzicano l’arpa in maniera soave.

Mentre ad un certo punto scatta il sound da cantina. Rozzo come piace a me. Il ritmo comincia ad essere persuasivo.

Anche in “Next Ride” e“Blue Curaçao” c’è un cambio di ritmo evidente, finora la seconda parte delle canzoni attira maggiormente la mia attenzione, da amante della crudezza nel sound. La seconda citata esordisce dando subito la sensazione di essere la colonna sonora di qualche film di detective. Assoli lunghi e gradevoli. Sound pieno, coperto da violini e keyboards che si manifestano ancora di più in “District Red”. Anche se indubbiamente i violini la fanno da padrona.

“Plaza de España”, “By Heart”, “Freaks”, “By the Waters of Babylon” e “The Usual Drink”, invece, sono decisamente calanti, tristi, soprattutto l’ultima citata. Potremmo definirle come rock-ballads se fossero all’interno di un album hard rock. Piacevoli (particolarmente “Plaza de España”).

La voce, che sembra non essere la stessa della prima traccia, riappare in “Clouds Collide”. Questa volta più calda, anche se mantiene sprazzi di acuti “angelici”. Si mostra con personalità decisa, sicura, convinta.

Il ritmo, il movimento esaltante si riaffaccia in maniera determinata con “What’s the Rush”. Molta elettronica, da evidenziare il giro di note, il “riff”. Molto orecchiabile. Come orecchiabile è “Ghost”. Qui saltuariamente c’è del rock&roll, e ciò mi piace. Una delle mie preferite di questo album degli Armonite.

Per concludere, le bonus tracks:

La prima, “Playful day” è deliziata da un quartetto d’archi che fan immaginare di essere accolto in un castello medievale durante un ballo aristocratico e galante. La seconda, “The fire dancer”, è un lunghissimo e interminabile assolo di pianoforte. Armonico, talentuoso, di stoffa.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


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