“Base Ribelle”: Il nuovo album dell’ex frontman dei Litfiba, Cabo Cavallo – La recensione

Si chiama “Base Ribelle“, il nuovo album di Cabo Cavallo, ex frontman dei Litfiba. Artista che insieme a Ghigo Renzulli ha infiammato i palchi di tutta Italia a suon di rock&roll. Da molti criticato poiché ha sostituito Piero Pelù nella band, ma rimane il fatto che Cabo ha una propria personalità, un proprio timbro vocale e un proprio stile. Tant’è vero che già in “Di Questo Mondo“, la prima traccia dell’album, dopo un leggero riff si affaccia la voce intensa e calda del rocker. Ritmo lento e pacato fino al momento in cui esplode in un sound tremendamente hard-rock. Si iniziano a sentire già i riff più decisi e una batteria poderosa. Da sottolineare le qualità di Cabo nel suonare la chitarra. Non è semplice trovare un frontman così.

Con “Destino“, “Sei” ed “E Fuoco Sia” si prosegue con dei riff che sprigionano solo pura energia. Puro metallo. La differenza è che “Destino” presenta vari tratti rilassati grazie ad una melodia pulita della tastiera. Questi sono brani che saziano lo spirito. Belli, mi piacciono. Arriva la traccia omonima dell’album: “Base Ribelle“. Una traccia davvero ingovernabile, brigante. La quale inizia con un discorso molto interessante. Da ascoltare. Per poi dar vita ad un ritmo che scalda. Un ritmo che genera solo esuberanza e movimento.

L’album continua con “Leggero“, “Quello che Ho” e “Nuvole“. Tre ballads gradevoli e stimolanti dove al centro delle attenzione è sempre la voce veemente. “Nuvole” è molto singolare, mi attira. Inoltre, contiene un testo che mi ha colpito. Un testo ricostituente. In “Quello che Ho“, poi, c’è da evidenziare il ritornello animato e divertente. Il cuore pulsante di questo album è l’intensità. Un album ricco di distensione e sangue freddo. Sangue freddo che si palesa nel brano “Il Crocevia dei Miracoli“. Wow, qui c’è da deliziarsi con questo riff che viene sparato come se non ci fosse un domani. Un riff contornato da una batteria brillante. Una batteria viva. L’hard-rock è il perno. L’hard-rock è il cardine, è il punto centrale. Mentre con “Orizzonte” sono le quattro corde che fanno da fondamenta in gran parte. Ma una volta che le chitarre si accendono non ce n’è per nessuno. Chitarre che riempiono tutto il suono. Lo inondano, proprio.

L’album termina con due brani. “Faccia al Vento” e “Le Nostre Verità“. Nella prima è inutile, forse, dirlo ma le sei corde la fanno da padrona. Sfruttano le loro potenzialità spremendole per poi ottenere il massimo rendimento. La seconda, invece, si mostra come una ballad vivida e pungente. Una ballad affilata.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


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