I Duratone e il loro “Saturday” – La recensione

Dinamismo, essenza, presenza. Sono queste le parole chiave di “Saturday“, il nuovo album dei Duratone. Dove il dinamismo è dato da queste sei corde che inondano e invadono tutto il sound della prima traccia, “Staying on the Phone“. L’essenza, invece, è data da questa voce che non è una voce. No, è un graffio continuo. Voce dotata di un’energia assurda. Mentre la presenza è quella del basso e della batteria. Due metronomi inesorabili e vigorosi.

La forza della chitarra è rimarcata anche nel secondo brano: “Pumpkin“. Qui c’è un riff continuo che penetra nelle sinapsi collocandosi nella parte del cervello dove viene stimolato il piacere. Tutto questo è rock&roll. Tutto questo mi attrae. Qui la voce appare leggermente più dolce, a tratti. Ma non troppo. L’assolo, poi. Breve ma sembra che strilli quella chitarra. Oddio come urla.

Con “So Blue” è il basso che diventa il cardine. Intenso, persistente. Inesausto, proprio. Semplicemente da evidenziare. Ma non solo il basso. Qui tutto diventa dannatamente sexy. Ogni nota che esce dalle sei corde è pura delizia. Ma dov’eravate?! Io ho un bisogno costante di queste sonorità. Anche dalla voce emerge del fascino. Una voce che diventa voluttuosa. Ma la seduzione si placa attraverso “My Fun” e “Against the Wall“. Seduzione che da spazio alla dolcezza. Infatti, si possono definire come delle ballads, queste tracce. Un’atmosfera acustica nella quale la soavità diventa un sinonimo calzante. Molto piacevoli, vien voglia di sorridere. Ma a metà del primo brano, circa, i watt non ce la fanno più. Loro sono istinto limpido, devono liberarsi e sfogarsi. Tant’è che sembra di ascoltare un’altra canzone. Pure nella seconda citata, la sensazione è simile. Armoniosa ma allo stesso tempo ferrea.

Ed ecco un brano in italiano. “Sangue Nero“. Qui la voce sembra un rap parlato in alcuni frammenti. Particolare, mi piace. Ma, tanto per cambiare, chi regna indiscutibilmente è la chitarra. Una necessità viscerale di predominare. Probabilmente uno dei miei brani preferiti dell’album. I Duratone sono una bella scoperta, caspita. Da risaltare l’assolo. Mi ricorda tanto la new wave anni ’80. Speciale, emozionante. Da brividi.

L’italiano prosegue, comunque, con “Non c’è più Niente“. L’aria che respiro diventa heavy metal con questi riff così maestosi. Riff solenni. Quanta potenza. Queste sonorità corteggiano il mio spirito. Creano il desiderio. E alla fine non possono far altro che conquistarlo con un assolo da paura. Un assolo dove il pedale wah wah e i bending sono il cuore pulsante. Che goduria. Sono sconvolto.

Quasi quasi mi dispiace che sia giunto al termine questo album. Con “Stagista” termina affrontando chiaramente un tema sociale fondamentale: il lavoro. Qui è il testo tagliente che attira la mia attenzione, nonostante sia contornato da un sound ruvido e incisivo. Complimenti, ragazzi, avete recato libido alla mia anima insaziabile.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


Duratone
Condividi su: