Le radici di Zucchero in “D.O.C.” – La recensione

Aspettavo questo giorno con impazienza e trepidazione. Aspettavo l’uscita di “D.O.C.“, il nuovo album di Zucchero “Sugar” Fornaciari. L’aspettavo perché lui rappresenta tanto per me, motivi intimi che conservo nella mia riservatezza. E poi, è stato il primo artista che è entrato nella mia vita. Ricordo ancora la prima musicassetta “The Best of Zucchero Sugar Fornaciari’s Greatest Hits“. Avevo 9 anni quando nella radio di casa ascoltavo per la prima volta “Rispetto“, “Menta e Rosmarino“, “Niente da Perdere“, “Per colpa di Chi“, “Madre Dolcissima” (per citarne alcune). E da lì non l’ho mai lasciato anche perché Zucchero è così come si vede. La sua semplicità, il suo essere genuino. Un uomo di campagna dove la sua casa è una fattoria. Zucchero non è politically correct, è un bracciante della musica con l’anima inquieta ed un linguaggio crudo. Da strada. Il suono della sua voce fa sognare. Il suono della sua voce porta indietro nel tempo. Zucchero racconta le sue radici. Racconta la sua vita.

Tant’è vero che la copertina di D.O.C. è ricca di simboli. Dei suoi simboli. Simboli legati alla sua carriera e al suo mondo, cominciando da un sipario di velluto blu. In questa copertina tutti gli elementi si intrecciano con un grande girasole sullo sfondo con all’interno un campo di sorgo al tramonto. Non può certo mancare il celebre cappello, la vanga (attrezzo agricolo famosissimo, visto in numerosi film, con il quale si preme col piede per affondare la lama nel terreno). Una chitarra e due bacchette di batteria. Delle profonde radici di un vecchio albero, due ali di angelo e due corna di diavolo. Il sacro e il profano. Tutto questo è Sugar Fornaciari.

Inizio ad ascoltare “Spirito nel Buio“, la prima traccia di D.O.C., la quale si presenta con un ritmo moderno e curioso. Ma da evidenziare è l’ultimo minuto del brano: voce calda, lenta e a tratti raschiata. Il coro che accompagna. La Sister che si affaccia con le sue ottave da gospel. Un ritmo d’altri tempi e con quel mix di inglese/italiano che solo Zucchero riesce ad utilizzare al meglio. Oltre a ciò, riesce a scoprire sempre suoni nuovi e invitanti. Suoni atipici. Questo rappresenta un suo vero e proprio tratto distintivo.

Con “Soul Mama” si percepisce una delle caratteristiche più importanti di Sugar: la malinconia e il suo essere perennemente nel “fango”. Ha l’anima sempre agitata, non è mai in pace. Questa peculiarità avvicina le persone. Porta a immedesimarsi nei suoi testi. Nelle vene di Zucchero scorre il blues.

Invece, con “Cose Che Già Sai“, “Sarebbe questo il Mondo“, “La Canzone Che Se Ne Va” e “Nella Tempesta” è il pianoforte al centro delle attenzioni. In questi brani è la lentezza a prendere il sopravvento come in “Tempo al Tempo“. Qui è l’umor nero che regna. Con la differenza che in “Cose Che Già Sai” si sente una voce femminile. Quella di Frida Sundemo. Una cantante e compositrice svedese. Un’artista giovane con un timbro estremamente equilibrato e angelico. Un piacere scoprirla. Con lei, questa traccia assume un’atmosfera eterea e spirituale.

Mentre riappare il ritmo frizzante con “Badaboom (Bel Paese)“. Wow, ascoltate e immaginatevi di assistere ad una messa cantata. Tutti in piedi, tutti che seguono il ritmo. Felicità e godimento. Questa canzone è pura vivacità, è pura agilità. Pura allegria con quell’armonica che diventa l’anima. Diventa la sostanza. C’mon.

Il buon vecchio e sano blues torna con “Testa o Croce” e “Vittime del Cool“. Entrambi con un riff breve ma efficace. Un riff che trasporta negli anni ’50. Sembra di stare davanti ad un bluesman afroamericano seduto fuori casa in una sedia di legno, con affianco una bottiglia di whisky. In “Testa o Croce” la voce di Sugar è così bassa che fa semplicemente salire i brividi dietro la schiena. Un assolo di tastiera insolito che suscita solo entusiasmo. Un assolo con degli acuti biblici. Questi sono brani che coinvolgono, che toccano le corde più nascoste dell’anima. Sicuramente tra le mie canzoni preferite dell’album.

Poi c’è “Freedom“, il singolo uscito già da ottobre. Mi piace moltissimo l’intro. Rende complice sin dal primo ascolto. Proprio, trascina la mente in questo sound che porta a schioccare le dita, a tenere il ritmo, a cantare, a sfogarsi. Una canzone che riempie il cuore. Una canzone eseguita anche in inglese, presente come Bonus Track insieme a “Someday” e “Don’t Let It Be Gone“. Rispettivamente “Vittime del Cool” e “Cose Che Già Sai“. L’album termina, questa recensione termina. E non può terminare se non con una delle frasi più belle di Zucchero:

«Noi crediamo nel blues, il blues non morirà mai».


Voto: 10Un giudizio elevato per un album elevato. Non potevo fare altrimenti. Un sound che mi rapisce ed una voce che mi emoziona come poche altre. I testi? Estremamente profondi.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris

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