Piero Pelù e il suo nuovo album: “Pugili Fragili” – La recensione

Pugili Fragili“. Così si chiama il nuovo album di Piero Pelù. Un artista che, senza dubbio, mi ha cresciuto mentalmente e culturalmente. Mi ha anche cresciuto spiritualmente come uomo attraverso i suoi testi e la sua musica. Attraverso le sue “battaglie”. Era il 1997 quando è entrato nella mia vita. Avevo dieci anni e mio padre cosa fa? Per il mio compleanno mi regala “Mondi Sommersi“. Solo io so quanto ho consumato quel disco (che possiedo tuttora). Il resto è storia, diciamo: i concerti non si contano. Nemmeno gli incontri e gli aneddoti che legano me a lui e ai Litfiba. Un aneddoto lo voglio raccontare, però. Estate 2016. Golfo Aranci. Sardegna. Parte “Sto rock” e ne scende dal palco con tutta la sua grinta. Un vulcano carico di energia. Un animale da palcoscenico che sale con i piedi sulla transenna (immaginate il caos) e avvicina il microfono proprio a me per proseguire la strofa. Insomma, si può dire che ho cantato al concerto di Piero Pelù. A dir la verità è capitato anche a Sassari, la notte di Capodanno. Scena uguale, in sostanza. Queste sono emozioni non per cuori deboli. Assolutamente.

Tutto questo per dire che non è semplice per me rimanere obbiettivo. Ciò nonostante, cercherò di esserlo. Il nuovo progetto del “Maudit” inizia con “Picnic all’Inferno“. Già disponibile da diverso tempo. Una canzone dove il tema dell’ambiente è il pilastro. Particolare da sottolineare la presenza della voce di Greta Thunberg. Essa si può considerare il simbolo di questi anni. Poi musicalmente si presenta con questo giro di chitarra in sottofondo che sa d’altri tempi. Ma il vero protagonista è lui, Piero Pelù. Il suo atteggiamento è perennemente intenso, dinamico. Efficace.

La traccia che segue la conosce tutta Italia, forse. Si tratta della canzone con cui ha partecipato al Festival di Sanremo: “Gigante“. Ed è proprio un brano adatto a questo specifico evento (tant’è che è arrivato quinto). Tremendamente dolce e pacato. Piero Pelù (solista) è anche questo. Mentre con “Ferro Caldo” sembra quasi di stare in attesa durante l’intro. Sbam, parte questa batteria così marmorea insieme ad un riff solido e inclemente. Proprio incurvabile. Devo dire che in ogni brano che ascolto mi domando come sarebbe se ci fossero i riff e gli assoli di Ghigo Renzulli. Inutile, i suoi assoli sono così inebrianti che entrano proprio nell’intimo di chi li ascolta. Ne sento la mancanza in ogni canzone.

Arriva il momento delle ballads. La prima è la traccia omonima dell’album “Pugili Fragili“. La seconda è “Nata Libera“. Qui il clima si riscalda mantenendo sempre una soavità flemmatica. Ma nella prima citata è l’assolo che mi sconvolge. Oddio, mi ha fatto salire la pelle d’oca. Un assolo così melodico. Un assolo fuori dal comune e insolito. Wow, prendetene e godetene tutti.

Arriva pure il momento di un brano che si presenta molto moderno: “Luna Nuda“. Qui la chitarra e il basso non si percepiscono neanche. Ciò che inonda il sound è questo ritmo al passo con i tempi. Ma quant’è orecchiabile, però. Caspita. Tutta questa modernità evapora, comunque sia, con “Cuore Matto“. Qui torna il rock&roll. Quello garbato e galante stile Elvis Presley. Mi piace (sul palco di Sanremo ha risvegliato non poche persone).

Il movimento e il divertimento proseguono. E proseguono con “Fossi Foco“. Qui tornano i temi sociali. Temi sempre cari al rocker fiorentino. Questo brano è scritto e cantato insieme al frontman degli Zen Circus: Andrea Appino. Bel binomio tra due voci diverse ma che calzano in modo molto interessante. Chissà se durante il tour vedremo delle sorprese. Chissà. Continuano, in ogni caso, le sonorità rockeggianti attraverso “Stereo Santo“. Si può definire come una canzone classica di Piero Pelù. Come un tratto distintivo. Me ne ha ricordate alcune, infatti. Ecco l’assolo. Breve (forse un po’ troppo) ma esplosivo come un cazzotto.

Questa recensione sta per terminare. L’album sta per terminare, con la sua ultima traccia: “Canicola“. Finora non ho citato le tastiere. Esse durante tutte (o quasi) le canzoni sono molto partecipi e incisive. Un punto di riferimento, direi. Anche qui lo sono, ma ciò che fa sobbalzare in questa canzone sono quegli istanti di puro spasso. Questo è hard rock. Quello duro, quello volitivo, quello senza peli sulla lingua. Quello mascalzone.


Voto: 6.5Un voto poco più che sufficiente, purtroppo. Nel complessivo risulta come un album discreto. La voce perde di veemenza ma, tuttavia, è da risaltare l’anima “verde”.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


Piero Pelù

 

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