Ruins Barren e la sua “Land of Desolation” – La recensione

Land of Desolation“, il nuovo album di Ruins Barren, si presenta con un’armonica come cuore pulsante ed un arpeggio di chitarra continuo e ricco di slide. Si presenta con delle sonorità folk, sonorità country ed una voce così aspra e abbassata. Una voce che conosco già, attraverso il progetto “Fattore Rurale“. Una voce particolare. E posso dire quanto sia raro incrociare un graffio simile. Un graffio che ha il potere di corrodere l’anima.

Già dalla prima traccia, “Chicago Illinois“, si avverte una natura malinconica e amareggiata. E questa natura è da considerare come fondamenta, come essenza. Tant’è che il brano successivo, “Dancin’ in the Wind“, prosegue con l’umor nero. Prosegue con l’avvilimento. Avvilimento che porta solo del dolore interiore creando così un’atmosfera cupa e densa. Un’atmosfera dolorosa.

Ascoltando “Ruins“, invece, l’arpeggio viene accompagnato da un pianoforte, il quale trasmette soavità e leggerezza. Ma il fulcro è il bruciore. Una desolazione da esternare, da diffondere a chi ascolta. Qui c’è un clima intenso, un clima profondo e abissale. E il clima diventa ancor più intrinseco tramite “A Love Story” e “Charlie Wilson Ford“. Diventa sentito e sincero. Diventa radicato. Musicalmente da evidenziare un ritmo lento ma appassionato. Un ritmo vero.

Il country folk avanza. E avanza in modo movimentato. Con “At 3 in the Morning Standing on a Crossroad” e “Damp Lips” mi vengono in mente quelle feste nel cuore del Texas. Sarà la grancassa che mi ci fa pensare. Essa (nella prima citata) diventa battente. Incalzante. O forse sarà il giro di chitarra veloce e vivace presente nella seconda, non so. Ma, comunque, qui io immagino solamente donne e uomini che se la spassano in modo spensierato. Ballando, cantando e buttando in aria i cappelli. Yeehaw.

C’è da precisare come Ruins Barren, sia col Fattore Rurale che con il suo nuovo progetto solista, mette alla luce sonorità fuori dal comune. Sonorità che appagano le anime inquiete. Quelle anime ardenti, roventi. Anime perennemente impetuose e cocenti. Infatti, qui c’è del calore. Un calore insolito. Basta ascoltare le ultime due tracce dell’album “Land of Desolation“: “Keep Away from the Shed” e “2ndFloor Room 104 – Floor 104“.  Quest’ultima mi attira particolarmente. Essa può considerarsi la mia preferita. Sentite che ritmo, sentite quel tamburello con le sue campanelle. Porta solo ad accompagnare, a schioccare le dita. Ma voglio risaltare sopratutto lo strumento aerofono. Ho un debole per codesti strumenti. Essi mi regalano della pura goduria interiore. Specialmente quando strillano. Oddio quanto mi piace. Qui c’è dell’ottone, qui c’è una sana e limpida vibrazione. C’mon.


Voto: 9Un album originale. Un sound autorevole. Un insieme di strumenti che fanno pendant. C’è dell’armonia fra loro. Poi sinceramente, l’ultima traccia ha influito davvero tanto. Mi ha conquistato.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


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Ruins BarrenLand of Desolation (Full Album):


 

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