The Boundaries e la loro “Arte del Non Vedere” – La recensione

È con un riff armonioso che inizia “L’Arte del Non Vedere“. Il primo album dei “Boundaries“. Si tratta della prima traccia omonima, non c’è da aspettare molto perché l’energia esploda all’improvviso. Riff definiti, forti. Un sound estremamente rock&roll. Questo album non poteva iniziare in modo migliore con questa batteria influente. Questa è una band fresca. Una band moderna con timbri e vibrazioni d’altri tempi.

Tant’è che l’album continua. E continua virando verso sonorità blues. Sonorità che ricordano tanto il jazz, a tratti. Il brano è “Blues Love Song“. Attira la mia attenzione. Qui si canta in inglese. Un ritmo che porta a schioccare le dita. Un ritmo che attrae in modo travolgente attraverso un assolo potente e melodico. Un assolo ricco di bending e di goduria.

Torna il suono più duro con “Nemmeno un Soldo“. Un suono crudo con questo riff grezzo e malavitoso. Un riff che fa da cornice a tutto il brano. Le sei corde che si mettono in risalto. C’è poco da dire, qui la chitarra è il perno. Rappresenta il punto essenziale dell’album “L’Arte del Non Vedere“. Basta ascoltare “Luna” per farsi trasportare. La traccia si presenta ricca di punti alti e bassi: si affaccia con dei suoni leggeri e morbidi per poi sprizzare in un’intensità disarmante. Arriva il momento dove è il basso a mettersi in evidenza. Con “Gogna” i Boundaries danno vita ad un ritmo funky. Molto particolare e divertente come canzone. Qui tutti gli strumenti sono connessi con un forte legame d’intesa.

Mentre il brano che segue, “Sale“, fa immaginare una colonna sonora di qualche film. Un film “giallo” nel quale il personaggio di spicco è un Detective rinomato. Tutto questo grazie al ritmo dettato dalla tastiera. Ma sono, anche qui, le sei corde a voler sfoggiare la loro imponenza. Imponenza che dura pure in “Tu Sei Già Là“. Qui la velocità diminuisce trasformando la traccia in una ballad piena di emozione ed emotività.

La sensualità si distingue in modo chiaro con “Ormai lo So“. Qui la chitarra fa solo mandar fuori di testa. Riff lenti ma caldi. Proprio, roventi. Qui l’atmosfera si fa davvero interessante. Qui ci vuole un calice di vino. Rosso. C’mon. Al contrario, l’aria cambia ascoltando “Tenebre“. L’aria diventa romantica. A tratti malinconica. Al centro delle attenzioni, in questo brano, è la nostalgia. Si rimane un po’ spiazzati, devo dire, ascoltando i due brani (uno dopo l’altro). Tuttavia, nella seconda citata, musicalmente si delinea un suono molto affettuoso. Gradevole.

Il funky si manifesta ancora in “Neve e Oro“. Cambi di ritmo, persuasione, soddisfazione. Sono queste le parole chiave. L’assolo, che ve lo dico a fare, regala quello sprint in più. Regala quell’energia di cui ogni anima ha bisogno per saziarsi. Puro nutrimento. Per concludere, non mi aspettavo che l’album potesse terminare con un brano maledettamente hard-rock. Sembra che provenga da un altro disco. Wow, qui c’è del piacere. Il doppio pedale della batteria, inoltre, coinvolge semplicemente in un modo assurdo. Daje.


Recensione esclusiva di Attilio Salaris


The Boundaries

 

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