Andrea Cubeddu: Il sardo dall’anima Blues

Non solo i neri sono Bluesmen, e anche Andrea Cubeddu ne è la prova. Ma rimane il fatto che il Blues non è per tutti.

Andrea lo ascolto non da tanto, forse un anno, e mi ha colpito subito. Esattamente l’ho conosciuto guardando una sua intervista da Red Ronnie, e incuriosito ho frugato e ho scoperto un artista Blues d’altri tempi. Sembra essere negli anni ’50. 

Classe 1993, e originario della Sardegna, Andrea Cubeddu nel 2017 ha creato il suo primo album: Jumpin’ Up and Down. Lo potete trovare su Spotify.

Ma conosciamolo meglio.


  • Andrea, comincerei a chiederti degli esordi, chi ti ha ispirato? Cosa ti ha spinto a “vivere” di musica?

Tutto ha avuto inizio nella scuola di musica “Costantino Nivola” di Orani, il mio paese. Iniziai a prendere lezioni di chitarra con il maestro Franco Persico mentre frequentavo la prima media. Da quel momento entrai lentamente in contatto con la musica, con tutti i suoi molteplici aspetti, finchè conobbi il Blues, prima ritrovandolo in altri generi, e poi riscoprendolo dalle radici.

Difficile dire chi mi abbia ispirato. Da adolescente avevo amici che credevano in me, e con i quali ci divertivamo a immaginarci un futuro in cui ero una rockstar, di quelle famose, che girano per il mondo, si drogano e muoiono giovani, come la tradizione pretende. Poi, finite le superiori, decisi di impegnarmi seriamente. Mi applicai intensamente nello studio della chitarra in un’accademia qua a Milano, dove vivo attualmente, per quattro anni. Decisi quindi di metterermi in gioco, suonando prima per strada, poi per locali. Non so cosa mi abbia spinto a vivere di musica. Inizialmente era una sfida con me stesso: volevo capire fin dove potevo spingermi, se avessi mai avuto la forza di affrontare e confrontarmi con un pubblico, portare in giro la mia musica, le mie storie, a testa alta. E fin’ora posso dirmi soddisfatto dei miei risultati.

  • Quest’anno è uscito il tuo primo album, “Jumpin’ Up and Down”. Raccontaci un aneddoto particolare.

Posso dirti che il disco è stato fatto in un mese di tempo. Me la sono presa con calma, insomma. Registravo da un amico e collega, Marco Todarello, nel suo studio a Novi Ligure, in provincia di Alessandria. Riuscivamo a registrare un paio di brani al giorno. Il mio intento era quello di ricreare le stesse emozioni che mi avevano spinto a scrivere quei brani: un pò come l’attore ha bisogno del suo tempo per entrare nel personaggio, riflettevo sulla canzone, e mi immergevo nello stato d’animo adatto al brano. Dunque, non potevo lavorare su troppe canzoni in una giornata sola. Ci è voluto più del previsto, ma ne è valsa la pena.

  • Secondo te in Italia c’è spazio per il Blues?

Non esiste posto al mondo dove non ci sia spazio, e bisogno, del Blues. Il Blues è raccontare le proprie sventure, esporle al pubblico, e affrontarle, appunto, pubblicamente. E’ un forte atto di autoanalisi, autocritica. Questo opera del cantautore, il “mostrare” agli altri le proprie debolezze, i propri problemi, porta l’ascoltatore ad immedesimarsi in quelle stesse storie storie, a viverle in prima persona. Questa sorta di catarsi, questo immergersi nel mondo altrui, rende tutti un pò meno soli. Si sa, quando si vivono le stesse sventure, le si condividono. E i problemi che sembrano più grandi si ridimensionano, perchè non siamo i soli, e quindi soli, ad affrontarli.

  • C’è qualche artista italiano che ti piace?

Del mio settore, tanti. Tanti colleghi sardi, come il mio “padrino di blues” River of Gennargentu, ma anche continentali. Sarebbero troppi da elencare. Alla fine la musica lega, e ci si sente come essere parte di una grande famiglia.

  • Cosa ascolti ultimamente?

Ascolto tanta musica, oltre al Blues. Cerco di trarre ispirazione un pò da ovunque. Quando sento qualcosa che mi piace, mi ci soffermo. Ultimamente, per esempio, sto ascoltando molta Dixieland, la musica che si poteva scoltare un paio di secoli fa a bordo di un battello a vapore, ripercorrendo controcorrente il Mississippi. E’ una musica molto cantata: gli strumenti, soprattutto i fiati, diventano un’estensione della voce, e suonano come se fosse una voce a cantare. La musica così diventa più discorsiva, e, dal mio punto di vista, più interessante.

  • Con quale artista hai desiderio di collaborare?

Attualmente non ho particolare interesse a collaborare con qualcuno. Sono contento dello spettacolo che porto in giro, da one man band. Magari un domani, mi sposterò non più solo, ma in duo o trio. Per ora, preferisco continuare in solitaria!

  • Che progetti hai per il futuro?

Sto lavorando per poter far conoscere le mie storie a un sempre maggior numero di persone. Cerco di spostarmi tanto, di fare più esperienze e collezionare più materiale per le mie canzoni. Una sorta di circolo vizioso, dove suono, viaggio, traggo ispirazione e compongo, e via a ripetere i quattro passaggi Se è vero il detto “non si finisce mai di imparare”, avrò da suonare fino alla fine dei miei giorni.

  • In conclusione, ti vedremo presto suonare in Sardegna?

Sì. Tornerò per due settimane di musica, dal 30 di novembre al 10 di dicembre. Potete seguire i miei spostamenti su Facebook, attraverso la mia pagina da musicista. Nel frattempo, potete ascoltare il mio disco su Spotify, e farvi un’idea della mia musica, e decide se venire o meno ad ascoltarmi!

  • Grazie, Andrea, per la disponibilità. Ti lascio uno spazio per un saluto ai lettori.

⇒ Grazie a te per esserti interessato al mio progetto. Buona lettura e buon ascolto a tutti. Ci si vede in giro!


Intervista esclusiva di Attilio Salaris


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